Ormai la Brexit è realtà. Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea certo qualcosa cambierà anche per le proprietà immobiliari, anche se per ora gli esperti possono solo fare qualche ipotesi. Vediamone alcune.
Brexit, cosa cambia per gli italiani
Dal primo febbraio, la Gran Bretagna non è più parte dell’Unione Europea. Innanzitutto c’è da chiedersi cosa cambierà per gli italiani, e la notizia è: fino a fine anno praticamente nulla. Nessuna modifica alla libera circolazione di merci e persone infatti ci sarà fino al 31 dicembre 2020, quando finirà il periodo di transizione necessario a “sistemare” eventuali accordi con la Ue e a gestire gli inevitabili cambiamenti che la modifica di status del regno Unito comporterà. Fino a fine anno quindi passaporto o carta d’identità europea saranno sufficienti a varcare le frontiere.
Solo dal 1 gennaio 2021 potrebbero verificarsi dei cambiamenti, eventualmente, sull’accesso al Paese per motivi di studio, lavoro o turismo, anche se viene da pensare che la Gran Bretagna non vorrà imporre condizioni troppo stringenti a dei settori che sono colonne portanti della propria economia.
Facile.it ricorda che fino alla fine di quest’anno sarà anche sufficiente la propria patente del Paese d’origine per guidare un veicolo britannico, e che per chi viaggia verso il Regno Unito potrà essere valida la sola tessera europea di assicurazione malattia che consente l’accesso alle cure mediche. Documenti che dal 2021 potrebbero – accordi con la Ue permettendo – non essere più validi, soppiantati invece dalla necessità di presentare dei documenti di validità internazionale.
Mercato immobiliare e Brexit, i pareri degli esperti
Cosa accadrà invece alla proprietà immobiliare? “I prezzi degli immobili in Gran Bretagna dovrebbero salire in media del 15.3% nei prossimi 5 anni, – commentano per idealista/news da Savills IM, – con variazioni significative tra regioni e tra i mercati prime e mainstream, soprattutto a Londra. Il mercato prime nella zona centrale di Londra, dove i valori mediani si attestano appena sopra i 2,75 milioni di sterline, dovrebbe essere uno dei più performanti, ribaltando il trend degli ultimi 5 anni”. Si tratta però di dinamiche che seguono prettamente il ciclo di mercato, a prescindere dall’uscita dell’Unione da parte della Gran Bretagna. “A livello nazionale, – specifica Savills IM, – la Brexit continuerà a costituire un freno sui mercati nel breve termine, ma in una prospettiva più ampia Savills IM si aspetta che i prezzi cresceranno generalmente in linea con i redditi”.
Insomma, potrebbe cambiare tutto come potrebbe non cambiare nulla, anche se il nostro parere è che ormai la Brexit sia stata ben “digerita” da mercato immobiliare e investitori, che terranno già nel debito conto questa variabile nelle loro future scelte, e che di conseguenza nessuno scossone sia da attendersi.
Secondo una indagine di un anno fa della Bank of England, ad un primo sondaggio tra imprenditori molti, ma non tutti, annoveravano la Brexit tra i rischi del proprio mestiere. Il 19% dei rispondenti aveva risposto di essere molto preoccupato per l’uscita della GB dall’Europa, mentre il 29% aveva messo la Brexit tra le prime tre cause di incertezza. Il 39% considerava la Brexit un rischio qualunque mentre il rimanente 13% non la considerava un rischio.
Secondo Jon Neale, Head of UK Research & Strategy at JLL, che ha parlato per il portale Bisnow, la vittoria della posizione di Boris Johnson sulla Brexit è addirittura positiva per il mercato immobiliare, risolvendo una situazione che, fino alla decisione definitiva di uscire dalla Ue, era rimasta in preda ad una nociva incertezza. “E’ probabile un balzo nell’attività di leasing e nel mercato degli investimenti grazie ad un ritorno della fiducia nel business, – spiega Neale. – Nondimeno è importante sottolineare che la direzione che il mercato prenderà nel lungo termine è comunque da definire, a seconda delle politiche domestiche che verranno poi effettivamente adottate nei prossimi mesi”.
“Probabilmente – aggiunge Neale, – il 2020 sarà un periodo frenetico, dato l’obbiettivo del raggiungimento di un accordo commerciale alla fine dell’anno e il fatto che Johnson abbia escluso un’estensione del periodo di transizione oltre il 31 dicembre. E’ quindi ancora probabile che si arrivi, a fine anno, a un nuovo “no deal”, sebbene più gestibile rispetto a quello precedente l’accordo di uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Ad aggiungere ulteriore tensione, il fatto che anche con gli Stati Uniti andranno negoziati nuovi accordi commerciali. Tutto ciò può significare che qualsiasi euforia sul mercato potrebbe essere solo temporanea”.
Brexit e immobiliare commerciale
Quali elementi della Brexit avranno eventualmente il maggiore impatto sul real estate commerciale britannico? Secondo il portale Bisnow, il punto cruciale saranno i servizi e le eventuali tariffe imposte alla circolazione di beni, che avranno senz’altro conseguenze sul settore commerciale, logistico e retail e di conseguenza anche sul relativo settore immobiliare. Conseguenze sulla proprietà potranno esserci anche a seguito delle politiche sull’immigrazione che si sceglierà di adottare.
“Il settore real estate poggia sulla crescita economica, – commenta a Bisnow David Inskip, capo della ricerca di Cbre Global Investor UK. – Potrebbero esserci conseguenze di ampio spettro in caso ci fosse un “no deal” o se il periodo di transizione fosse esteso. In questo caso si potrebbe creare uno iato di incertezza negli investimenti che porterebbe un calo negli investimenti in Gran Bretagna”.
Quanto al fatto che le imprese che vendono servizi nell’Unione Europea in particolare da Londra potrebbero essere escluse da un mercato più ampio, questa pare non essere una eventualità di cui preoccuparsi. Dal momento che i servizi acquistati dalla Ue dalla Gran Bretagna sono molti più che il contrario, probabilmente l’Unione non avrà incentivo ad ostacolare gli scambi con la capitale britannica. Di conseguenza, anche il mercato degli uffici e del business in genere potrebbe non risentire di nulla, anche perché, come si diceva, già dalla prima vittoria del referendum pro-Brexit gli investitori si erano già preparati all’eventualità.
“Dal momento del referendum i vari business hanno già pianificato le proprie attività di conseguenza, – spiega Inskip a Bisnow. – Si sono spostati alcuni affari periferici, ma non c’è stato nessun esodo di massa, per cui non è in vista alcuno shock. Questo processo si svolgerà per almeno un decennio e se le società vorranno continuare ad avere sede a Londra, troveranno il modo per farlo”.
Brexit e mercato residenziale
Ci sono poi le politiche immigratorie che saranno mirate a selezionare lavoratori esperti in entrata, scremando gli accessi in Gran Bretagna. Il che avrà senz’altro riflessi sul mercato residenziale come anche sulle case di cura, negozi, ristoranti e hotel, di cui gli immigrati costituiscono una vasta fetta di clientela. Come anche sul settore delle costruzioni, che sulla manodopera di immigrati si basa in gran parte.
Come conseguenza al possibile rialzo dei salari di una manodopera più selezionata, “Il Governo ha annunciato un maggiore stanziamento di risorse nel settore costruzioni, il che avrà dei riflessi sui valori delle proprietà immobiliari limitando l’offerta, – nota Inskip. – Tuttavia si vorrebbe una economia che supporti il mercato, non che tenga i valori immobiliari alti in modo artificiale”.
Aumento degli affitti a Londra dopo la Brexit
L’aumento dei prezzi immobiliari residenziali potrebbe quindi dare una spinta considerevole agli affitti. Come si legge in un articolo del Sole 24 Ore , i prezzi a Londra, scesi del 15% dal 2016, anno del referendum sulla Brexit, hanno ora recuperato soprattutto per quanto riguarda il settore lusso e prime. Le previsioni di Savills e Knight Frank sono per un aumento dei prezzi a Londra dell’1% nel segmento prime e del 10,9% fino al 2030, con valori che potrebbero salire di oltre il 20% nella capitale e a doppia cifra altrove.
Di conseguenza il numero di persone che potranno permettersi l’acquisto sarà inferiore mentre aumenteranno coloro che opteranno per l’affitto, con conseguente aumento dei canoni, soprattutto a causa della carenza di offerta. Secondo gli analisti infatti nel 2019 la domanda di immobili in affitto è aumentata del 25% a fronte di una offerta in calo del 14%, trend che non farà che accelerare.